Si omologa la 54.a giornata dell’8 luglio 2010:

Risultato (14 presenti):

4: beppe, papetto, tucci, francè, rossi, aiazzar, matrone

3: federico, g.ceppa, marmo, rooney, becagli, sauro, g.vasino (d’ora in poi sarà così perché gianni ce ne sono 2 e francesconi, come ammannati, è troppo lungo)

Classifica: vì sopra

Omo Sky: papetto.

Omo Skyfo®: beppe

Spettatori: il poli.

Note hellzapopping: a differenza di noi è stata una partita equilibrata. Il risultato è sempre stato in bilico e la differenza l’ha fatta Papetto che, nonostante avesse di fronte dei pre-pensionabili e per compagni di squadra un manipolo composto a maggioranza da cardiopatici, ha giocato con la determinazione di quando aveva 25 anni e a suon di pallonate smusava le barriere e infilzava portieri in tutti i campi di calcio compresi nella latitudine/longitudine che va da Vallecchia a San Macario in piano a Bozzano fino alla Bufalina di Torre del Lago.

Era talmente carico che, probabilmente facendosi forza della sua attività di oculista, nel riscaldamento ha anche tirato una pallonata in un occhio a un suo compagno di squadra (Rossi) mentre faceva il conto per chi andava in porta. Era come se il carrozziere avesse sbatacchiato in un’auto parcheggiata così, tanto per dimostrà che tanto l’avrebbe riaccomodata senza problemi.

Il match, a cui ha assistito il Poli che ha riso e preso per il culo tutti dalle 8 alle 9 (non poteva gioà perché s’è levato un cecchio appostatonisi sulla cervice, ma s’è rifatto più tardi sfoderando una prestazione scintillante al tavolino), ha avuto un epilogo che mi ha toccato nell’animo, profondamente.

Io, 70enne di 51 anni, ripresentatomi al campo di calcetto come Chivu dopo che l’avevino risistemato alla bell’e meglio. Io, tornato al Pandorito come se Nadia Cassini fosse tornata a fà i film – quelli che stava sempre a peorina – dopo che n’avevino fatto la plastica ai labbri del culo perché sennò ni cascavino e ni infiammavano il menisco.

Io, dicevo, depresso da mesi, anni, lustri di “Beppe-ultima-scelta” che mi nutrivo della flebile positività d’avè vinto il minimo rimpallo mistificandolo come merito, del buon fine del passaggio più elementare (anche durante il riscaldamento, lo ammetto), il tutto per ricostruire un’autostima calcistica minata da una spaventosa sequela di prestazioni indecenti, dal silenzio dei compagni ormai stufi di vituperarmi dopo l’ennesimo errore.

Io, per tornare agli ultimi minuti della partita, avevo fatto caicchià giocando spesso di prima perché toccalla due volta di fila mi riesce poco e, ahimè, spesso passando agli avversari (Vitaliano, bellissimo, chiama questo gioco “pallalloro”). Avevo, però, fatto anche un paio d’assist da palla ferma che avevano permesso a Papo e al Rossi di segnare due reti svilendo quanto meno la pesantezza del mio senso di inutilità calcistica.

Siamo quasi allo scadere, noi si sta vincendo 4-3 e si attacca verso la porta lato spogliatoi dove sono già pronti tutti quelli dell’ora dopo. Papetto, ancora assatanato nonostante la tripletta, ruba palla e innesca un contropiede: siamo in due contro uno.

Io, ovviamente stanziale nella metà campo avversaria come un ippopotamo nel suo stagno nel Serengheti, mi allargo e mi avvicino alla porta per ricevere la palla mentre il portiere lascia la porta sguarnita per chiudere su Papetto.

Cazzo, me la dà, segno anch’io! Stasera niente antidepressivo, stasera so con quali immagine aspettare il sonno: due assist e un gol… Mi sento come il rais che aspetta il branco dei tonni diretto nella camera della morte della mattanza.

Papetto mi vede e me la passa. Papetto è mio amico, Pietrino avrebbe dribblato anche Martino (il custode) e Marietto sarebbe tornato indietro o si sarebbe sfracellato pur di fare il dribbling dalla parte sbagliata, ma Papetto non è egoista ed è mio amico.

Federico ormai è tagliato fuori, il pallone mi sta arrivando a 3 km/h, mi fermo ad aspettarlo a 29 cm dalla riga di porta.

Il pallone potrei fermarlo, darmi la Crescina in testa e vedere se mi crescono i capelli neri come mì pà, biondi come mì mà o bianchi per la mia età, e poi depositarlo in rete a billate. Mi gusto il momento come una loffa di 40 secondi che ti decomprime l’addome affollato dalla parte volatile del minestrone di fagioli stiaccioni.

Ecco il pallone, a poca distanza da me, sulla panchina dietro la porta, stanno appollaiati tutti quelli delle 9. Mi sembrino quelli della Maratona, la curva del Toro.

Arriva la sfera, ne vedo le cuciture e la scritta; metto il piede destro, il mio preferito, mi preparo alla deviazione di ciatta.

Avrei potuto anche non averlo il piede, tipo Pinocchio quando Geppetto se lo scorda troppo vicino al camino e ni bruciano le gambe fino al ginocchio.

La palla non mi ha mai toccato la scarpa, mi ha picchiato nel nocciolino del nodello ed è uscita fuori di un metro sul palo più lontano. Si sono messi tutti a ride: gli avversari, quelli delle 9, io e i miei compagni. Meno che Papetto, s’è levato la casacca ed è andato via lasciandoci uno in meno.

E pensà che Papetto è mio amico…

il Giudice Unico Autoproclamato